Eigengrau

Provate a chiudere gli occhi per qualche secondo; a parte l’incondizionata sensazione di pace e di estraneazione dalla realtà che questo gesto inconsciamente ci regala, che colore vedete?

Nero, avrei risposto io. Errando, ovviamente.

Tecnicamente vediamo, pare, un misto fra nero e puntini bianchi minuscoli che sono una sorta di rumore di fondo nel nostro sistema visivo, del quale ovviamente non ci rendiamo contro ad occhi aperti sia per la quantità di luce che lo sovrasta sia per il filtro a posteriori applicato dal nostro cervello.

La risposta giusta sarebbe Eigengrau, una sorta di “grigio proprio”, di “grigio cervello”. Termine creato verso la metà del XIX secolo dallo psicologo tedesco Gustav Theodor Fechner (il termine stesso ne tradiva la patria di origine, no?), ma che si è iniziato a vedere solo in questo secolo in pubblicazioni scientifiche ufficiali.

La gradazione fine di questo colore dipende da ciascuno di noi, ma sostanzialmente parliamo di un rumore della retina che genere eventi casuali indistinguibili da fotoni reali (che ad occhi chiusi però non ci sono e che quindi non si mescolano con il nostro rumore di fondo (che pare a sua volta esser molto dipendente dalla temperatura). L’Eigengrau che percepiamo è molto probabilmente attribuibile a quello che prender il nome di “emissioni ultradeboli di fotoni” che sono dei debolissimi fotoni emessi proprio dalle nostre cellule fotorecettrici.

L’Eigengrau è meno intenso del nero (colore che per assurdo non possiamo vedere quando non c’è luce perché non abbiamo alcun riferimento). Il colore pare tende a schiarirsi leggermente con il tempo (dopo circa 20 min di completa oscurità, se volete provare…).

Avete presente quando le vecchie TV analogiche non prendevano alcun canale? Un po’ più scuro e direttamente sulla vostra retina. Lo battezzerei il colore della solitudine umana.

WU

PS. Per la cronaca, in esadecimale il nero è #000000, mentre l’Eigengrau è completamente diverso #16161d

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