Quanto rumore, antrofonico.

C’è la biofonia, ovvero l’insieme dei suoni della natura (avete presente il cinguettio degli uccellini oppure il gracidare delle rane?), e questa non è male. Poi esiste la geofonia, ovvero l’insieme dei suoni della terra (avete presente il rumore del vento o della pioggia?), ed anche questa non è male. E poi esiste l’antrofonia, ovvero l’insieme dei suoni/rumori di origine umana (esempi a iosa qui dentro), ed a questa praticamente non ci facciamo neanche più caso. Noi.

L’insieme di questi suoni (spessissimo una assordante cacofonia) costituisce una sorta di paesaggio sonoro (soundscape per i più romantici) ed una conseguente ecologia del suono: ovvero capire attraverso i suoni/rumori e le loro variazioni un dato paesaggio, il suo stato di salute e la sua evoluzione.

Il nostro filtro naturale che stiamo mettendo agli assordanti rumori della quotidianità è tuttavia una sorta di “adattamento evolutivo” tutto umano; lo stesso potrebbe non essere valido per gli altri abitanti che condividono con noi questo globo, in particolare quelli abituati al profondo silenzio.

Gli animali più abituati da qualunque altro al “profondo silenzio” sono esattamente quelli che delle profondità hanno fatto il proprio habitat: gli abissi. Anche laggiù, come se non fossero sufficienti plastiche ed inquinamento vario delle acque, siamo arrivati “a disturbare” (è proprio il caso di dirlo). Pesci e specie marine varie pare siano infatti parecchio disturbate (interferiamo con i loro “sonar”), disorientate (i delfini fanno fatica ad usare la loro “ecolocalizzazione”) ed abbiano modificato molti dei loro comportamenti naturali come conseguenza dei rumori di grandi navi, attività antropiche (e.g. perforazioni) e rumori della civiltà che dalla costa si propagano fino alle profondità marine.

E la fisica non aiuta: in acqua il suono viaggia più velocemente che in aria e raggiunge anche distanze maggiori, il tutto in un contesto di assoluto silenzio di biofonia e geofonia.

Se è già difficile limitare il nostro impatto in termini di inquinamento atmosferico, marino o del terreno, è praticamente un’ambizione riuscire a limitare e contrastare le varie sorgenti di rumore antropogenico (un’altra pandemia non la auspicherei, ma durante il lockdown pare che i rumori antropici si fossero ridotti di un buon 20% con tanti ringraziamenti da parte delle specie marine), mettiamoci poi che gli effetti non sono così inquietanti ed immediati come gli altri fattori di inquinamento e ci troviamo davanti ad una di quelle cose che oggi facilmente sottovalutiamo e delle quali non abbiamo idea delle conseguenze che lasceremo ai posteri.

Mi piacerebbe chiudere con un messaggio di speranza, ma il massimo che riesco a partorire è che volenti o nolenti (soprattutto nolenti) sono certo che le creature degli abissi sapranno adattarsi anche a questo, tutto sta a vedere a quale costo.

WU

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